Con la nota ministeriale del 16 giugno 2025, il Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) ha formalizzato il divieto pressoché totale dell’uso degli smartphone nelle scuole secondarie di secondo grado, richiamando il principio della “distrazione digitale” come nemico della concentrazione e del rispetto delle regole scolastiche.Un provvedimento che, seppur motivato da esigenze educative e disciplinari, solleva forti perplessità sia sul piano pedagogico che sindacale.
Un’occasione persa per una vera educazione digitaleDa un punto di vista pedagogico, questa decisione sembra ignorare una verità ormai consolidata: l’educazione al digitale non può passare attraverso la rimozione degli strumenti, ma attraverso il loro uso critico e consapevole.Proibire l’uso dello smartphone equivale a negare agli studenti l’opportunità di apprendere come e quando usarlo correttamente. La scuola dovrebbe essere il luogo dove si educa all’autonomia e alla responsabilità, non dove si perpetua un clima di sorveglianza e controllo totale.Le buone pratiche didattiche dimostrano che l’uso mirato e guidato del telefono può potenziare l’apprendimento: app educative, ricerche online, attività di coding, fruizione di contenuti multimediali. Con questo divieto, si sceglie di chiudere la porta al futuro.
Una lesione dell’autonomia professionale dei Docenti sul piano sindacale, il provvedimento rappresenta una pericolosa interferenza nell’autonomia didattica degli insegnanti, ai quali viene di fatto negata la possibilità di decidere se e come integrare il digitale nei propri percorsi formativi.Il MIM impone una norma dall’alto, omogenea e cieca alle differenze tra indirizzi, contesti e stili educativi. Un gesto che tradisce un’idea centralista e burocratica di scuola, dove i docenti sono esecutori di regole calate dall’alto, non professionisti della pedagogia capaci di scegliere i metodi migliori per le proprie classi.Il contratto collettivo riconosce il valore dell’autonomia professionale. Con questa misura, lo Stato si arroga un potere che non gli spetta, svuotando il patto educativo tra scuola, studenti e famiglie.
Alternative educative più mature e condivise Invece del divieto, serviva una cornice di regolazione flessibile e responsabilizzante, capace di:Valorizzare il ruolo dei consigli di classe nel definire l’uso degli strumenti digitali.Incentivare progetti di educazione civica digitale.Prevedere la formazione del personale sulla gestione consapevole della tecnologia in aula.Avviare percorsi di “patentino digitale” per gli studenti, in collaborazione con le famiglie.
La posizione di FENSIR – Federazione Nuovi Sindacati Istruzione e Ricerca
Come sindacato FENSIR, esprimiamo forte dissenso nei confronti di un provvedimento che non solo indebolisce la funzione educativa della scuola, ma svilisce anche la professionalità docente. Riteniamo che la scuola non debba essere un ambiente repressivo, ma un luogo dove si educa alla cittadinanza anche digitale. Chiediamo:Il rispetto pieno dell’autonomia didattica dei docenti; Un reale coinvolgimento delle comunità scolastiche nelle scelte educative;Politiche formative anziché repressive;Un rilancio della scuola come spazio di innovazione e responsabilità condivisa.
Una scuola che vieta non educa: serve fiducia, non divieti!
Il divieto generalizzato degli smartphone in aula non è la risposta ai problemi educativi del nostro tempo. È un riflesso di sfiducia verso gli studenti e verso i docenti. La scuola ha bisogno di risorse, formazione e dialogo, non di decreti punitivi.
FENSIR continuerà a battersi per una scuola viva, capace di educare senza reprimere, moderna ma umana, e saldamente fondata sulla professionalità dei suoi lavoratori.