Nel mese di giugno 2025, i lavoratori del comparto scuola – docenti e personale ATA – riceveranno in busta paga un accredito straordinario relativo al cosiddetto taglio del cuneo fiscale. Si tratta degli arretrati accumulati tra gennaio e maggio, che NoiPA provvederà a liquidare in un’unica soluzione. A ciò si aggiungerà, da giugno in poi, un aumento mensile dello stipendio netto, frutto della stessa misura fiscale.
Si parla di cifre che oscillano tra poche decine e qualche centinaio di euro. Ma al di là dell’entità numerica, resta una domanda aperta: si tratta davvero di un aiuto concreto per chi lavora nella scuola, o solo di un’operazione marginale priva di effetti strutturali?
Il taglio del cuneo fiscale: cosa significa e a chi si applica
Il cosiddetto “cuneo fiscale” è la somma delle tasse e dei contributi che gravano sul lavoro. Nel concreto, rappresenta la differenza tra il costo lordo che un datore di lavoro sostiene e lo stipendio netto che il lavoratore riceve. Il taglio operato dal Governo interviene sui contributi a carico del dipendente, riducendo la sua quota di versamento all’INPS.
Per l’anno in corso le percentuali sono:
- Riduzione del 7% per redditi fino a 25.000 euro lordi annui;
- Riduzione del 6% per redditi tra 25.001 e 35.000 euro.
Al di sopra di queste soglie, la misura non si applica.
La riduzione non comporta un danno pensionistico immediato (i contributi vengono accreditati come figurativi), ma riduce leggermente la base imponibile pensionabile, il che può avere effetti nel lungo termine. Tuttavia, l’impatto è generalmente contenuto.
Arretrati e aumenti mensili: quanto cambia davvero
Come riportato da Tuttolavoro24.it, nel cedolino NoiPA di giugno compariranno gli arretrati spettanti dal 1° gennaio al 31 maggio 2025.
Le cifre variano a seconda del profilo professionale (ATA, docente, grado di istruzione), dell’anzianità di servizio e della fascia stipendiale.
Secondo le tabelle pubblicate da Tuttolavoro24.it (che andrebbero inserite integralmente per completezza), gli importi netti una tantum sono i seguenti:
Profilo | Arretrati netti stimati (gennaio–maggio) | Aumento netto mensile (da giugno) |
---|---|---|
Collaboratore scolastico | 63 – 150 € | 10 – 25 € |
Assistente amministrativo | 80 – 200 € | 15 – 35 € |
Docente scuola primaria/infanzia | 90 – 280 € | 20 – 55 € |
Docente scuola secondaria I/II grado | 110 – 416 € | 25 – 83 € |
Fonte: Tuttolavoro24.it, 22 maggio 2025
Anche nella fascia più alta, parliamo di non più di 400 euro lordi complessivi per cinque mesi di arretrati e un incremento mensile che, in media, non supera i 50 euro netti. Sono importi che, pur rappresentando un piccolo sollievo, non incidono in modo significativo sul tenore di vita del personale scolastico.
Accettare o rinunciare al taglio? Scelta tecnica, impatto modesto
Tecnicamente, il lavoratore ha la possibilità di rinunciare al taglio del cuneo fiscale, scegliendo di continuare a versare l’intera quota contributiva. La rinuncia può essere effettuata tramite l’area riservata del portale NoiPA (sezione “Agevolazioni fiscali”).
Le sigle identificative sul cedolino sono:
- E11 = riduzione contributiva (taglio cuneo fiscale);
- E12 = ulteriore detrazione fiscale.
Ma in quali casi può avere senso rinunciare?
Può essere utile rinunciare se:
- Si è vicini alla pensione e si vuole massimizzare la base contributiva.
- Si ha una situazione pensionistica già fragile o discontinua.
- Si ritiene poco significativo l’aumento netto rispetto al sacrificio futuro.
Nella maggior parte dei casi, invece:
- Accettare la riduzione è più conveniente, poiché il beneficio immediato è tangibile e la perdita futura minima.
- L’impatto sulla pensione si traduce in differenze annuali marginali, spesso inferiori a 50 euro annui.
Una misura tampone, non una riforma strutturale
Il taglio del cuneo fiscale è stato più volte presentato come uno strumento per ridare ossigeno alle retribuzioni medio-basse. Ma nel caso del personale scolastico, non affronta le vere criticità: stipendi tra i più bassi del pubblico impiego, blocco contrattuale decennale, carichi burocratici crescenti, e una forte svalutazione sociale della professione.
Questa misura non tocca il problema della povertà lavorativa, né interviene sulle dinamiche retributive che penalizzano soprattutto i più giovani e precari del comparto. È un intervento parziale e a scadenza, utile per alleggerire temporaneamente le spese di chi lavora, ma privo di prospettive di lungo periodo.